Un
placido pomeriggio di metà inverno
… o almeno credevamo che sarebbe finito di lì a poco, l’inverno….
Cronache del maggio più freddo
dal lontano 1845
Dopo quasi
otto anni, sì, avete inteso bene! Quasi otto lunghbrevissimi anni,
tutti potevano pensare che sarebbe accaduto qualcosa che avrebbe scompigliato
un’intera giornata della loro vita, ma non certo la vita stessa. Tutti tranne
Albert.
In
fondo, Chiara e (Giorgio) Albert – ma
poi chi sarà questo Giorgio? O meglio, chi sarà questo Albert? Che confusione!
- già vivevano sotto lo stesso tetto da due anni e tutto sommato erano paghi di
tutto ciò che li girava intorno.
Ma si sa come sono le donne, mai contente!
(no! No! si sa come sono gli uomini, sempre
contenti. Anche troppo comodi!)
-
Chissà come sarà quest'estate nella nostra
amatissima terra. Ah, la nostra terra.
-
Chiara, sarà un’estate torrida, come le
ultime duecento, giù di lì!
-
Si, questo si poteva immaginare. Ma dimmi,
sei sempre così cordiale? Forse sarai stato anche tu pizzicato dalla Taranta?
Chiara sapeva gli effetti che il pizzico della Taranta provocava sullo sventurato. Aveva letto molti libri sul
tema e conosceva bene gli effetti collaterali provocati dal terribile morso.
Con ragionevole certezza, Albert poteva essere stato effettivamente pizzicato
da una Taranta, probabilmente anche
di notevoli dimensioni, visti gli effetti.
-
Ma poi, che domande è questa? L’estate è
estate. Non ti aspetterai che faccia fresco. È come se dicessi che maggio ti
costringa a sentirti come se fossi in pieno novembre. Ci sono le stesse remote
probabilità. Ti aspetteresti mai di avere un mese di maggio con 8 gradi? La
risposta te la do io: è no.
Albert (o Giorgio?) non avrebbe potuto mai immaginare di essere sconfessato
così apertamente dalle bizzarrìe del clima.
-
Io non vorrei essere tacciata di
chiaroveggenza, ma ho sentito dire che sarà un’estate “singolare”.
-
Cosa intendi per“singolare”?mi pare limpida
come l’acqua questa affermazione: potrebbe accadere di tutto.
-
Si, infatti, proprio di tutto…
-
D’altronde il destino non si può
preordinare, giusto?
-
È un’affermazione che non mi sento di condividere
appieno. Alcune cose accadono perché vogliamo che accadano.
Sul viso di Chiara si delineava
una smorfia di ambigua soddisfazione. Ricordava vagamente quell’intenso piacere
organolettico provato una sera di gennaio a Parigi, da Robert et Luise in Rue Veille
du Temple, una piccola taverna nel Marais
scoperta per caso.
Oh Parigi, pensava tra sé e sé Chiara.
Era stata una di quelle vacanze che non potevano definirsi altrimenti se
non parfait.
Tutto era iniziato il dodici di gennaio, di mattina. Chiara aveva dato inizio
al suo sabato con la solita energia che le scorre tra i microscopici rivoli
della pelle. Avrebbe mai potuto immaginare quello che stava per accadere?
Albert, aveva stranamente assecondato la non tanto sottile persuasione
morale di Chiara. Il fine settimana, la mattina, ad Albert piace dormire. A Chiara, no.
La tecnica adottata aveva oramai raggiunto un certo grado di efficacia.
-
Albert, io mi alzo, ma tu rimani a letto.
Non avere fretta.
Lui, ben contento di viaggiare ancora per un po’ nel mondo di Morfeo, sposava
pienamente quell’atto di puro altruismo. Ma intimamente era certo che non
sarebbe stato tutto così beato.
-
Albert io preparo la colazione. Ma lo sai
che là fuori è una splendida giornata?
Il sole donava un tepore inatteso agli ambienti intorpiditi dal gelido
gennaio. Ma c’era qualcosa di indefinito (o ben definito) in quelle parole che
riecheggiavano in quel piccolo appartamento poco fuori le mura di Siena. Avevano
infatti un vago sapore di pressione psicologica. Chiara, non l’ho ammetteva apertamente
ma sapeva che avrebbe ottenuto quello che voleva.
-
La colazione è pronta. Io mi gusto questo
ottimo caffè col latte fumante, ahimè da sola. Ma se tu vuoi continuare a
rimanere a letto, io farò il pieno di pane e marmellata, di sole, di musica, ma in totale solitudine.
La strategia era compiuta. Aveva dispiegato tutti i suoi effetti. Una
leggera intonazione di Vita d’artista
di Sergio Cammariere sapeva che avrebbe destrutturato facilmente tutte le
ultime resistenze.
Vivo
d'artista quasi da sempre
Con
questo nome che non resta in mente
Così
difficile da ricordare
Per
uno che a casa non può ritornare
Ma viva l'Italia, paese dell'arte
Viva
i suoi artisti tenuti in disparte
Fuori
dal mondo per settimane
Schiavi
del cuore e di un pezzo di pane
-
Ok, va bene. Ho capito dove vuoi arrivare.
Mi alzo felice di fare colazione con caffè e latte fumante, pane e marmellate,
sole, musica e te.
Ma anche tra le parole di Albert si intravedeva un tintinnìo dal suono
piacevolmente sinistro.
Aveva tramato silenziosamente alle sue spalle senza dirle nulla. Doveva
essere una sorpresa. Una di quelle sorprese che anche dopo trent’anni si
sarebbero ricordate vividamente, in tutte le pieghe, in tutte le sfumature.
-
Bene. Io sono pronto. Esco. Vado a trovare
Marco e dopo vado in piscina con Giò e il Deghi. Se faccio tardi, come sempre,
ti avviso.
-
Si, si, come sempre. Sei un buffone da
circo. Mi avvisi come l’altra sera che dovevi tornare dalla palestra alle otto
e mezza e poi sei tornato alle dieci passate.
Ma perché Albert va in palestra? in piscina? – i più, vedendolo, dubiterebbero
di ciò e dei risultati (in)visibili.
Alto
un metro e ottantuno centimetri.
Sì Tonino, tu sei più alto. Lo sappiamo entrambi, ma io non lo ammetterò
mai!
Occhi marroni.
Come la sua pelle.
Capelli color nero corvino.
Spesso si è sentito rivolger la domanda:
ti tingi i capelli. Ammettilo! Grazie Mamma, tu, oltre ad avermi
trasmesso l’imperativo di far scorrere nel midollo l’ottimismo, mi hai regalato
questa quantità incommensurabile di capelli neri.
Peso 74 chilogrammi.
Gli stessi dall’età di 16 anni. Né un chilo in più né un chilo in meno. Pochi
(o forse tutti) sanno che Albert è esattamente come suo Padre. Anche sforzandosi,
non riuscirebbe a mettere su tre etti e mantenerli per più di tre mesi.
-
Allora, ciao! Ci vediamo tra un po’.
È una frase che amava utilizzare; che non si vedessero per due ore o per
venti giorni.
La porta si chiudeva dietro quella ampia borsa a tracolla e Chiara, dal
fondo della stanza, salutava come sempre con la stessa luce negli occhi che la
contraddistingue. Una luce diversa, che Albert coglieva in ogni suo sguardo.
Il rumore sordo della porta fu seguito da un ritorno immediato alle chiavi.
Un attimo dopo quel ciuffo scomposto faceva
capolino nuovamente a casa.
-
Ah dimenticavo. Prepara la valigia. Si
parte!
Un attimo, un’eternità. Il tempo aveva assunto una consistenza liquida in
quella stanza.
- fine primo capitolo -